campania

Conosci la vera storia della mozzarella?
Vi siete mai domandati come è nata la mozzarella?
Prima di tutto, ricordiamo che il termine “mozzarella” trae origine dal verbo “mozzare”, ossia quell’operazione attuata ancora oggi nei caseifici, che consiste nel lavorare con le mani e con dei movimenti caratteristici il pezzo di cagliata filata e di separare prontamente con gli indici ed i pollici le singole mozzarelle nella loro forma più tipica, quella tonda.
Nel XII secolo, le bufale venivano sempre più apprezzate grazie alla produzione del latte, facendo sì che la loro presenza nelle pianure del Volturno e del Sele fosse ormai consolidata, iniziano a comparire i primi documenti storici, testimonianza di come i Monaci del monastero di San Lorenzo di Capua fossero soliti donare un formaggio denominato mozza o provatura (se affumicato), con da un pezzo di pane, ai pellegrini del Capitolo Metropolitano, che ogni anno visitavano in processione sino al Convento.
Inoltre, del XIV secolo sono risalenti varie testimonianze che provano come il commercio di derivati del latte di bufala fosse solitamente riservato ai ricchi mercati napoletani e salernitani. Per ovvie ragioni di viabilità, gli unici ad arrivare erano “mozze” e soprattutto “provature” che essendo affumicature avevano una vita commerciale più lunga. Ma dobbiamo aspettare il 1570 per vedere apparire per la prima volta il termine “mozzarella” in un famoso testo di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale. E nel XVIII secolo le mozzarelle diventarono un prodotto di largo consumo, anche grazie alla creazione, da parte dei Borboni, di un importante allevamento di bufale con congiunto caseificio sperimentale atto alla trasformazione del latte delle bufale.
A seguito dell’unificazione d’Italia nacque ad Aversa la “Taverna“: ossia un vero mercato all’ingrosso di mozzarelle e altri derivati e latticini prodotti dallo stesso latte, tra cui è bene ricordare anche la ricotta, che ogni giorno stabiliva le quotazioni in relazione alla richiesta e alla produzione. Il commercio veniva organizzato sulla base di veri contratti, che entravano in vigore dal 1 settembre al 31 agosto dell’anno successivo, firmati tra il proprietario delle bufale, che trasformava anche il latte, e il “distributore“ dei prodotti.

Cosa intendiamo per prodotti a Km 0?
I “prodotti a Km 0″, definiti anche in maniera più tecnica “a filiera corta”, sono quei prodotti locali, di solito alimentari, che vengono venduti in un’area distante pochi chilometri da quella di produzione. Si tratta, quindi, di un’alternativa al sistema di commercializzazione di alimenti tipico della grande distribuzione organizzata. Il sistema a filiera corta mira ad una diminuzione dei passaggi che intercorrono tra il produttore ed il consumatore, come avviene nel caso dei GDO, determinando anche una drastica riduzione dei costi di trasporto e di vendita.
Acquistare generi alimentari a km 0 significa non solo risparmiare, ma anche favorire la sostenibilità ambientale e contribuire alla valorizzazione delle realtà locali e dei sapori tradizionali.
Numerosi sono i vantaggi derivanti dalla filiera corta, a cominciare dalla riduzione di elementi che favoriscono l’inquinamento e il riscaldamento globale, quali l’impiego di imballaggi per la distribuzione o l’emissione di anidride carbonica per il trasporto delle merci, fino ad arrivare alla possibilità di promuovere prodotti regionali e della tradizione nostrana, più freschi e di stagione, e che pertanto non hanno perso le proprietà organolettiche a causa di lunghi viaggi.
La spesa di prodotti a Km 0 sta diventando un’abitudine sempre più diffusa anche in Italia dove, accanto allo sviluppo di una coscienza ambientalista, sembrano crescere anche il buon senso e la voglia di trovare la qualità degli alimenti comprandoli vicino a casa.